Grazie a un’innovativa interfaccia persona-macchina, connessa con il sistema nervoso e muscolo-scheletrico, una donna svedese ha potuto controllare in maniera naturale una mano bionica
Per la prima volta, una protesi bionica è stata integrata in modo permanente con il sistema scheletrico e nervoso di una paziente grazie a un’innovativa interfaccia uomo-macchina osseointegrata impiantata in una donna svedese che aveva perso la mano destra in un incidente agricolo. L’interfaccia è stata collegata direttamente ai muscoli e nervi residui della paziente, permettendole di controllare in maniera naturale una mano bionica.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science Robotics ed è il risultato finale del progetto europeo DeTOP (Dexterous Transradial Osseointegrated Prosthesis with neural control and sensory feedback) coordinato dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. “Questa ricerca ha significato molto, perché mi ha dato una vita migliore” è il commento di Karin, la donna che ha sperimentato la nuova tecnologia.
L’integrazione tra la protesi bionica e l’arto residuo
La vita di Karin ha subito una svolta drammatica quando, più di 20 anni fa, un incidente agricolo le ha portato via il braccio destro. Da allora ha sopportato un dolore lancinante all'arto fantasma. "Mi sembrava di avere costantemente la mano in un tritacarne, il che mi creava un alto livello di stress e mi obbligava ad assumere dosi elevate di vari antidolorifici". Oltre al dolore, la donna ha scoperto che le protesi convenzionali erano scomode e inaffidabili, e quindi di scarso aiuto nelle attività quotidiane. Tutto questo è cambiato quando ha ricevuto l'innovativa tecnologia bionica che le ha permesso di indossare comodamente tutto il giorno una protesi molto più funzionale. La maggiore integrazione tra la protesi bionica e l'arto residuo di Karin ha anche alleviato il dolore.
Una straordinaria fusione tra persona e macchina
L’interfaccia meccanica con l’arto residuo e l’affidabilità del controllo sono due delle maggiori sfide nella sostituzione degli arti artificiali. Per questi motivi, spesso le persone che hanno perso un arto rifiutano anche le protesi più sofisticate disponibili in commercio, le quali risultano dolorose quando indossate e con uno scarso livello di controllabilità.
Un gruppo multidisciplinare di ingegneri e chirurghi ha risolto questi problemi sviluppando un'interfaccia uomo-macchina che consente di fissare comodamente la protesi allo scheletro dell'utente tramite osseointegrazione, consentendo al contempo il collegamento elettrico con il sistema nervoso tramite elettrodi impiantati nei nervi e nei muscoli (video su https://youtu.be/YRxtM0Y6ZAQ).
La ricerca è stata guidata dal Prof. Max Ortiz Catalan, responsabile della ricerca sulle protesi neurali presso il Bionics Institute in Australia e fondatore del Center for Bionics and Pain Research (CBPR) in Svezia.
“Karin è stata la prima persona con amputazione al di sotto del gomito a ricevere questo nuovo concetto di mano bionica altamente integrata che può essere utilizzata in modo autonomo e affidabile nella vita quotidiana. Il fatto che lei sia riuscita per anni ad utilizzare la protesi in modo confortevole ed efficace durante la vita quotidina testimonia le potenziali capacità di cambiare la vita di questa nuova tecnologia per le persone che devono affrontare la perdita di un arto”.
La sfida per questo livello di amputazione sono rappresentate dalle due ossa (radio e ulna) che devono essere allineate per un adeguato supporto del carico della protesi e dal limitato spazio disponibile per impiantare i componenti protesici. Il team di ricerca è riuscito a sviluppare un impianto neuromuscoloscheletrico che consente di collegare il sistema nervoso con il sistema di controllo elettronico della protesi.
Il team di ricerca è riuscito a sviluppare un impianto neuromuscoloscheletrico che consente di collegare il sistema nervoso con il sistema di controllo elettronico della protesi.
“Il nostro approccio chirurgico e ingegneristico integrato spiega anche la riduzione del dolore in quanto, per controllare la protesi, Karin sta utilizzando un po' le stesse risorse neurali che utilizzava per la sua mano biologica” spiega il prof. Ortiz Catalan.
Il trattamento e la prevenzione del dolore post-amputazione sono un altro dei principali obiettivi del team di ricerca del prof. Catalan. A questo proposito, Karin ha dichiarato di avere ora “un migliore controllo sulla mia protesi, ma soprattutto il mio dolore è diminuito. Oggi ho bisogno di molti meno farmaci”.
I vantaggi dell’osseointegrazione
Una caratteristica fondamentale della nuova tecnologia bionica è il fissaggio scheletrico della protesi attraverso l'osseointegrazione, il processo mediante il quale il tessuto osseo ricresce all’interno del titanio creando una forte connessione meccanica. Il prof. Rickard Brånemark, ricercatore affiliato al MIT, professore associato all'Università di Göteborg e CEO di Integrum, ha guidato l'intervento e ha lavorato all'osseointegrazione per le protesi d'arto fin dal loro primo utilizzo nella persona: “L'integrazione biologica degli impianti in titanio nel tessuto osseo crea l'opportunità di far progredire ulteriormente la cura degli amputati. Combinando l'osseointegrazione con la chirurgia ricostruttiva, gli elettrodi impiantati e l'intelligenza artificiale, possiamo ripristinare la funzione umana in un modo senza precedenti”.
Il gruppo di ricerca italiano che ha lavorato alla nuova mano bionica
I nervi e i muscoli dell'arto residuo sono stati riorganizzati per fornire alla protesi un maggior numero di informazioni sul controllo motorio. Il dottor Paolo Sassu ha condotto questa parte dell'intervento che si è svolto presso l'ospedale universitario Sahlgrenska in Svezia.
“A seconda delle condizioni cliniche, possiamo offrire la soluzione migliore per i nostri pazienti, che a volte è biologica con un trapianto di mano e a volte è bionica con protesi neuromuscoloscheletriche. Stiamo facendo passi in avanti continui in entrambi i campi”. Il dottor Sassu collabora attualmente con l'Istituto Ortopedico Rizzoli in Italia e con il Center for Bionics and Pain Research in Svezia.
“Il progetto DeTOP, finanziato dalla Commissione Europea - afferma il Prof. Christian Cipriani, coordinatore del progetto e direttore dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa - ha offerto una grande opportunità di collaborazione che ha reso possibile il consolidamento di tecnologie protesiche e robotiche all'avanguardia, che possono avere un impatto straordinario sulla vita delle persone”.
Mia Hand, la mano robotica sviluppata da Prensilia ed impiegata per lo studio, possiede caratteristiche meccaniche e capacità sensoriali uniche, che permettono all’utilizzatore di compiere agevolmente l'80% delle attività della vita quotidiana.
“L'accettazione della protesi da parte dell’utilizzatore è un aspetto fondamentale per ottenerne un impiego efficace - aggiunge il Dr. Francesco Clemente, Amministratore di Prensilia – Per questo motivo, oltre a lavorare sulle prestazioni e sugli aspetti più tecnici, Prensilia ha posto una particolare attenzione al design e all’estetica, ottenendo una protesi completamente personalizzabile nelle sue componenti estetiche e che permetta così all’utilizzatore di configurarla secondo il proprio gusto e stile. Mia Hand è nata per essere mostrata e non nascosta, perché le persone possano sentirsi orgogliose di ciò che sono e sono diventate, e non vergognarsi di ciò che hanno perso. Vogliamo che Mia Hand non sia percepita da chi la utilizza solo come una protesi di mano, ma vogliamo che possa essere percepita come la propria protesi, perfetta espressione di sé”.
Il team di ricerca e i finanziamenti del progetto
Questo lavoro è stato uno dei principali risultati di un progetto finanziato dalla Commissione europea nell'ambito di Horizon 2020, denominato DeTOP (GA #687905) (video). La ricerca è stata finanziata anche dalla Promobilia Foundation, da IngaBritt and Arne Lundbergs Foundation, e dallo Swedish Research Council.
Il team di ricerca fa parte dei seguenti enti: il Center for Bionics and Pain Research (CBPR), una collaborazione multidisciplinare tra Sahlgrenska University Hospital, Sahlgrenska Academy e il Chalmers University of Technology, (Svezia); il Bionics Institute di Melbourne, Australia; l’Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna, Italia; la Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa, Italia; TeamOlmea, Svezia; l’University of Colorado, Aurora, USA; il Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, USA; e le aziende di dispositivi medici come Integrum AB in Svezia e Prensilia, Italia. Il progetto DeTOP include anche la Lund University, lo Swiss Center for Electronics and Microtechnology, l’INAIL Prosthetic Center, e l’Università Campus Bio-Medico.